Metroid Dread - Recensioni in bottiglia
- Xenorik
- 22 dic 2021
- Tempo di lettura: 6 min

Un paio di settimane fa, dovendo decidere che nuovo gioco iniziare, mi sono accorto di avere in lista una discreta quantità di metroidvania ancora nel backlog: Ori and the Will of the Wisps, Blasphemous, Dead Cells, Grime, Tails of Iron e appunto Metroid Dread. Vista la fame di Metroid che negli anni mi è cresciuta dentro, parzialmente mitigata da una nuova run a quel capolavoro che risponde al nome di Metroid Prime e dall’ottimo simil-Metroid Axiome Verge, mi sono cimentato in Dread senza pensarci tanto.

Era da Zero Mission che non affrontavo un Metroid bidimensionale, ormai un’era fa, saltando Samus Returns, il remake del secondo capitolo ad opera degli iberici MercurySteam, per 3DS. Non nascondo il fatto di essere uno di quelli che aspettava, e aspetta ancora, un Metroid Prime 4 come la manna dal cielo, ma adorando anche l’impostazione 2D non sono stato affatto deluso dall’annuncio di Metroid Dread, che si è rivelato un capitolo molto importante per la saga per due motivi. Il primo, legato al passato, è che rappresenta la chiusura di un cerchio, ovvero dell’arco narrativo sui Metroid: la storia di Dread, diretto seguito degli eventi di Fusion, svela alcuni retroscena succosi che si vanno ad incastrare con le trame dei precedenti capitoli, dando una conclusione al tutto. Non che la serie sia diventata famosa per la sua trama, ma comunque Dread chiude interrogativi che andavano avanti da decenni ormai, e scusate se è poco. Il secondo motivo dell’importanza di Dread, legato al futuro, è il successo commerciale che il gioco che sta riscuotendo: si tratta infatti del capitolo che sta vendendo più velocemente, probabilmente diventerà il più venduto della serie, e questo fa ben sperare per il futuro, pur ovviamente non macinando numeri da Mario. Quindi Dread è sia un punto di arrivo, per la storia, ma può essere anche il perno del rilancio, per far finalmente esplodere la serie anche fuori dalla sua consueta nicchia. Potremmo aggiungere un altro punto: dopo il “banco di prova” Samus Returns e la conferma di Dread, si potrebbe ipotizzare con buona probabilità un duraturo accordo di collaborazione tra Nintendo e MercurySteam, i quali si sono dimostrati all’altezza del compito. Oppure no?

Ora vi dico la mia su Dread. Se non sapete cosa sia un metroidvania documentatevi con una breve ricerca in rete, anche se il mio consiglio è di provare almeno uno dei giochi di questo genere, avete l’imbarazzo della scelta, e forse è proprio questa ampia scelta una delle maggiori sfide per Metroid Dread. Fermo restando che la saga ha sfornato alcune pietre miliari (Super Metroid e Metroid Prime in primis), una delle sue fortune è stata anche quella di non avere grandi concorrenti al di fuori della serie Castlevania. Questo almeno fino all’esplosione del mercato indie, durante il quale il genere metroidvania è stato ed è ancora uno dei filoni più prolifici. In effetti io per anni mi sono sempre chiesto “Ma perché nessuna software house oltre a Nintendo e a Konami si mette a fare giochi così?”. Voglio dire, capolavori acclamati da critica e utenza, anche se un po’ di nicchia, perché non imitarli? Niente, ci hanno dovuto pensare gli sviluppatori indie nell’ultimo decennio a far rinascere un genere che era stato abbandonato a sé stesso. Rinascita che ha portato a grandi, grandissimi titoli. Per cui prima dell’uscita di Dread, con tutta questa concorrenza di qualità in quantità, girava il timore che Metroid alla fine sarebbe potuto diventare “uno dei tanti”, uno vero smacco per la serie che ha dato di fatto il nome all’intero genere.

Parto descrivendo ciò che mi è piaciuto di Dread. Prima cosa sicuramente il pacing. A differenza di altri esponenti del genere, Dread non è un gioco che vuole tirarla per le lunghe: è compatto, diretto, denso, con un ritmo nella progressione piuttosto serrato. Non passa molto tempo tra l’acquisizione dei vari upgrade, dall’inizio alla fine del titolo la curva di potenziamento di Samus è diciamo lineare, portando a variazioni e ampliamenti di gameplay continui, che in sostanza allontanano il fattore noia e stagnazione. L’avanzamento inoltre lo definirei di una “linearità labirintica”, mi spiego meglio: il gioco ti fa capire esattamente dove andare grazie e indizi più o meno velati (in verità poco velati, a meno che non vi chiamiate Jaffe), ma il level design intricato unito al fatto che verrete sballottati da un’area all’altra del mondo molto più spesso di quanto accada in altri giochi del genere, restituiscono egregiamente l’idea di essersi persi su un pianeta alieno.

Di solito in un metroidvania si arriva in una nuova area, la si perlustra per lo meno per un buon 70%, si batte un boss e si procede nella prossima sezione; si ritornerà nella zona già visitata con nuovi poteri per poterla esplorare al 100%. In Dread invece si completa una piccola porzione di uno schema, di seguito si va in un’altra area per una breve digressione, poi magari si fa una puntatina in una terza regione, dopo si torna indietro alla seconda zona per battere un boss e così via. Solo a partita inoltrata riuscirete a memorizzare adeguatamente le mappe, quindi per buona parte dell'avventura si prova un senso di perdita dell'orientamento, ma non causato da un reale smarrimento se lo si analizza a mente fredda, e tutto ciò regala un mood tipico “à la Metroid” senza rinunciare a un ritmo di gioco incalzante. Davvero ben fatto.

Altro punto a favore del gioco è la fluidità dell’esplorazione e dei combattimenti, grazie ad un sistema di controllo reattivo e preciso unito alla varietà di mosse a disposizione di Samus, che le conferiscono una mobilità mai vista prima. Ho apprezzato particolarmente la scivolata e le parry (già introdotte in Samus Returns), ma sono solo una minima parte delle frecce all’arco della nostra eroina, tuttavia lascio a voi scoprire le altre abilità, com’è giusto che sia. Parlando di combattimento, come non citare le boss fight, di fatto le migliori della serie 2D, in particolare l’ultima, molto soddisfacente.

Il livello di sfida secondo me è calibrato alla perfezione, con una difficoltà media che non è una passeggiata di salute: si muore ma non eccessivamente. Una buona dose di game over avverrà a causa degli incontri ravvicinati con gli EMMI, degli automi praticamente invincibili che perlustrano determinate zone della mappa. Se capteranno la vostra presenza l’unica possibilità sarà la fuga, perché lasciarsi prendere equivale a morte quasi certa (potrete comunque tentare di liberarvi con un contrattacco, attivabile con successo in un intervallo di tempo però brevissimo). Solo guadagnando una potentissima arma, il cannone Omega, situato guada caso negli spazi presidiati dagli EMMI, potrete finalmente distruggerne uno, tuttavia il colpo del cannone Omega è singolo, ma potrete trovarne un altro nell’area del prossimo EMMI. Questa nuova meccanica delle zone Emmi aggiunge una nuova sfumatura ansiotica al gioco, variegando ulteriormente il gameplay, cosa gradita.

La grafica è ottima, una delle migliori viste su Switch, offrendo un alto dettaglio, fluidità impeccabile e, nonostante la prospettiva unicamente bidimensionale, qualche punta di spettacolarità.

Se dovessi invece elencare quello che non mi è piaciuto, forse sarebbe più esatto dire quello che mi è piaciuto di meno, perché ciò che in Metroid Dread non funziona alla perfezione comunque funziona perlomeno bene. Per esempio avrei gradito una maggiore differenziazione tra le aree del mondo di gioco, il pianeta ZDR. Non che ogni zona non abbia il suo mood e il suo stile, ma mi aspettavo uno stacco maggiore. Qualcuno potrebbe affermare che così le ambientazioni nella loro complessità sono più coerenti, però io prediligo una maggiore eterogeneità, aumenta la personalità del setting.

Inoltre non ho trovato la colonna sonora particolarmente incisiva, atmosferica sì, ma le manca qualcosa per rimanere impressa, resta un buon sottofondo. Della longevità, che potrebbe facilmente essere considerata scarsa, non mi lamento grazie alla densità dei contenuti e al ritmo: mi fa piacere che MercurySteam non abbia ceduto alla tentazione di allungare il brodo più del necessario. Io sono dell’opinione che un gioco debba durare quanto basta, preferisco farmi più run ad un titolo intenso che mi è piaciuto particolarmente rispetto a giocare una volta sola a un titolo reso inutilmente lungo in nome della longevità. Quindi le circa 12 ore spese per completare Metroid Dread al 100% mi stanno bene.

Rispondendo infine alla domanda posta più in alto, sì, i MercurySteam si sono dimostrati all’altezza, sfornando un capitolo di Metroid degno del nome che porta, che riesce a imporsi come uno dei migliori titoli del genere, pur considerando l’agguerrita concorrenza odierna. Ecco, magari a Dread manca il fattore “Wow!” di cui potevano fregiarsi all’uscita Super Metroid e Metroid Prime, perché questo ultimo capitolo non è un gioco rivoluzionario, ma diciamoci la verità: a volte anche essere “solo” all’altezza del proprio passato risulta già un’impresa.

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