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Salt and Sanctuary - Recensioni in bottiglia

  • Xenorik
  • 17 giu 2018
  • Tempo di lettura: 3 min

Se qualcuno mi chiedesse quali sono i miei 10 videogiochi preferiti di sempre, tra questi sicuramente citerei Castlevania: Symphony of the Night e Dark Souls, veri e propri cult-game.

Proprio da questi due capisaldi Salt and Sancutary estrapola i suoi ingredienti, mixandoli con un equilibrio insperato, non inventando quasi nulla, ma riuscendo lo stesso a proporre un titolo non meritevole, di più. Si vede che non c’è solo bravura dietro al lavoro di Ska Studios, ma anche una vera passione, viscerale oserei dire.

C’è chi grida al plagio, ma la verità è che non esiste il copyright per certe cose.

Mi riferisco a questo: boss iniziale quasi imbattibile, gestione della stamina, possibilità di utilizzare le armi con una o con due mani, luoghi sicuri dove è possibile potenziare il personaggio e che fungono da checkpoint, salvataggio continuo da parte del gioco, esperienza accumulata (il sale) che perdiamo in caso di morte ma che possiamo recuperare nel luogo dove siamo stramazzati o dal nemico che ci ha falciato, armi il cui danno scala con le caratteristiche del personaggio, fast/mid/fat roll durante la quali siamo invincibili, peso dell’equip, pozioni che si refillano ai suddetti checkpoint, crafting basato sui drop dei boss, quest riguardanti gli NPC, covenant, lore raccontata dagli oggetti… vi ricorda qualcosa?

Anche l’atmosfera, il design dei nemici e delle ambientazioni è un chiaro rimando ai titoli From Software, mentre dai metroidvania troviamo la componente platform, l’impostazione 2D e lo sblocco di determinati poteri i quali vi aprono nuove strade da esplorare. E il sistema di crescita? Anche in questo caso non c’è vera originalità, però i ragazzacci di Ska Studios giustamente sono andati a riprenderne uno dei più apprezzati degli ultimi anni, ovvero quello di Path of Exile, dove abbiamo un sistema “a galassia” in cui le abilità sono collegate tra di loro come una mappa stellare, e sbloccare determinati “pianeti” da l’accesso a quelli direttamente collegati.

Il mio dubbio quando ho iniziato S&S è che tutte queste caratteristiche, tanto fiche sulla carta, messe insieme non si rivelassero altrettanto fiche nella prova su strada. E invece no. S&S ha finito per appassionarmi tanto quanto il miglior Dark Souls e il miglior Castlevania. E’ stata la cura per ogni aspetto e l’impegno nel raggiungere l’equilibrio tra le parti che me ne ha fatto innamorare. A livello di design, se vi piace il dark fantasy, non avrete nulla di cui lamentarvi: le aree sono oscure e opprimenti, i nemici, soprattutto i boss, riescono a restituire quella sensazione crepuscolare e marcescente di un mondo ostile in rovina, e l’accompagnamento sonoro, quasi sempre ambientale, rimarca questa atmosfera.

Per quanto concerne il gameplay, non c’è modo più facile per descriverlo: i combattimenti sono Dark Souls in 2D, la parte platform è Castlevania con gli appigli à la Prince of Persia. Le due dimensioni possono rendere lo schivare anche più difficoltoso rispetto a DS, ma è una questione di farci l’occhio, mentre l’aggrappamento agli appigli non è sempre così scontato, occorre essere precisi, quindi attenti ai salti. In ogni caso tra le diverse abilità apprendibili, ce ne saranno alcune che faciliteranno ila vostra mobilità, oltre che ad aprivi nuove vie. Il trail & error sarà di casa con i boss, che presentano vari pattern di offesa nonché le famigerate “fasi” in cui cambieranno modo di attaccare, tuttavia tutto questo dovrebbe essere proprio ciò il pane che andate cercando per i vostri denti da ex non morto prescelto.

Ma S&S non è solo qualità, è anche quantità. Mi ha semplicemente spiazzato l’ampiezza della mappa di gioco: mi aspettavo un titolo da una dozzina d’ore, invece ci ho messo più di 26 ore per arrivare alla fine dell’avventura. Tanti boss (anche opzionali), tante aree interconnesse tra loro (cosa che adoro), molte tipologie di nemici, per non parlare dell’equip che, intersecato alle abilità che andremo a sbloccare salendo di livello, da spazio alla creazione di build molto differenti tra loro, aspetto che innalza senza dubbio la rigiocabilità.

I santuari, in altre parole i checkpoint, sono potenziabili con oggetti che troverete in giro, in modo che possiate attivare alcuni bonus come il fabbro, vari vendor o il teletrasporto. Quest’ultimo si rivela particolarmente importante dato che non esiste una mappa a schermo di un modo di gioco che presenta parecchi bivi, quindi spostarsi velocemente da una parte all’altra è utile per rispolverare la memoria su eventuali strade non percorse.

Una volta finito S&S devo ammettere che la tentazione di partire subito con una nuova run è stata grande, ulteriore conferma di quanto questo titolo mi sia piaciuto, ma l’infinita lista di arretrati mi ha bloccato subito con un “cease and desist”. Salt & Sanctury non inventa niente, è derivativo dalla a alla z, ma è anche dannatamente affascinante, appagante e intenso. Consigliatissimo a chi ama i Souls e i metroidvania, sconsigliato per chi con i videogiochi si vuole solo rilassare e “staccare la spina”.

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