Ghost of a Tale - Recensioni in bottiglia
Col tempo ho imparato ad ascoltare sempre più spesso il mio intuito e le mie sensazioni. Quando ero un giovane accanitissimo videogiocatore (ora solo accanitissimo), mi sono fatto fin troppo influenzare dai giudizi altrui. Non degli amici, eh, ma delle riviste specializzate. Quando avevo 14 anni aspettavo ogni mese con febbrile impazienza l’arrivo in edicola dei vari Game Power, Consolemania, The Game Machine, che ai miei giovani occhi erano come la Bibbia.
I voti numerici erano per me strumento infallibile e incontestabile per determinare il valore di un gioco, e soprattutto se un titolo era meglio di un altro. Tekken 2 aveva preso 96 mentre Virtua Fighter 2 95? Tekken 2 era meglio, punto.
A ripensarci adesso mi viene da sorridere per quanto ero estremamente categorico, d’altra parte è crescendo che si matura, e nel corso dell’adolescenza sono nati i primi dubbi e le prime incertezze, fondamenta per iniziare a mettere in discussione il proprio modo di pensare, per finalmente arrivarci: ragionare con la propria testa, fidarsi del proprio giudizio, e più in generale credere in sé stessi.
Questo preambolo per ribadire ancora una volta che ormai considero i giudizi della stampa specializzata dei pareri che non contano né più né meno di quello di un utente scafato, come se fossero solo un tassello in più per farsi un’idea più tangibile di un prodotto e per capire se il tal gioco potrebbe potenzialmente piacerci. E oggi io aggiungo il mio personale tassello a Ghost of a Tale, progetto nato e cresciuto grazie al sostegno di 1190 backers.
Non dico che per me sia stato amore a prima vista, ma diciamo che fin dal primo filmato il titolo ha stimolato il mio interesse. Adoro il fantasy fiabesco e gli animaletti antropomorfi, senza dubbio a causa dell’imprinting dei classici Disney e degli altri film di animazione con animali come protagonisti, quindi sono stato naturalmente colpito dall’ambientazione e dai personaggi di questo gioco. La prima cosa che mi è subito balzata alla mente è “Autunno 1152, Guardie d’onore”, un delizioso fumetto di David Petersen che racconta le gesta di tre topini-cavalieri i quali si trovano a fronteggiare una pericolosa cospirazione, e come sfondo una scenografia medievaleggiante a misura di piccolo roditore.
Ecco, l’ambientazione di Ghost of a Tale ha proprio lo stesso sapore, anche nella direzione artistica: tanto medioevo, un po’ di fantasy e taglio squisitamente favolistico. Come sempre e ovunque, anche nel mondo di Ghost of a Tale vale la legge del più forte, e in questo caso i più forti sono i ratti, a discapito degli altri animali, tra cui chiaramente i topi.
Noi andremo ad impersonare un topino di nome Tilo, il quale è stato imprigionato a Forte Derovin insieme a sua moglie Marna per un affronto fatto nei confronti di un nobile ratto, chiamato semplicemente “il Barone”. Ovviamente Marna non si trova nella stessa cella del protagonista, perciò il nostro obiettivo principale sarà ritrovarla e salvarla.
Essendo Tilo un semplice menestrello non sa combattere, e per fuggire dalla sua condizione dovrà fare affidamento su altre doti: elusività, furbizia e intelligenza. Questo era circa tutto quello che sapevo prima di iniziare la mia partita. Cosa mi aspettavo? Un gioco puramente stealth, magari organizzato a schemi con complessità e difficoltà crescenti, in cui utilizzare vari stratagemmi per non farsi vedere e mettere fuori combattimento le guardie, guadagnando varie abilità col progredire dell’avventura. Beh, mi sbagliavo, non del tutto, ma sicuramente più di quanto immaginassi.
Ghost of a Tale non è affatto un gioco puramente stealth, è anche molto, ma molto adventure, con un’immancabile spruzzata di gdr. Sia chiaro, lo stealth c’è e nella prima parte del gioco è preponderante, anche se con meccaniche piuttosto basilari: i nemici possono sentirvi e c’è un indicatore apposito che vi segnala il grado di allerta, voi potete occultarvi in diversi nascondigli come casse o tinozze, potete raccogliere o rubare oggetti che possono aiutarvi a bloccare temporaneamente le guardie, ogni tanto potrete anche servirvi dell’interazione ambientale a vostro vantaggio… tutte azioni già viste e riviste tante volte e pure in modo più approfondito. Però ribadisco che Ghost of a Tale non è uno stealth game, ma un gioco adventure dove lo stealth è solo una delle componenti. In soldoni, se volete uno stealth puro puntate altri titoli, come ad esempio la serie Styx.
Io, che non sono un super patito degli stealth e che ho un approccio più alla Conan il barbaro (che per i meno informati non significa buttarsi su ogni cosa che si muove a cazzo duro, ma pensare prima di agire, e quando si combatte preferire un onorevole e feroce scontro corpo a corpo) ho trovato la componente stealth di Ghost of a Tale semplice al punto giusto da non risultare invasiva rispetto al lato adventure. Difatti da un certo punto in poi è l’esplorazione e l’interazione con i vari personaggi a farla da padrone.
L’aspetto che mi ha stupito di più è il world design: mi aspettavo una struttura a livelli chiusi, invece ci troviamo davanti ad una mappa piuttosto labirintica a sviluppo sia orizzontale che verticale, composta da varie aree interconnesse tra loro con numerose scorciatoie, manco fosse il primo Dark Souls. Grazie al level design, alla già citata direzione artistica e al delicato accompagnamento sonoro (più che altro ambientale), il semplice avventurarsi per forte Derovin e dintorni risulta decisamente appagante e, seppur con qualche piccola sbavatura, ammaliante per qualità tecniche: raramente si sono visti indie con una grafica così dettagliata e evocativa, che riesce perfettamente a immergere il giocatore in un mondo verosimile rimanendo ancorato ad una visione estremamente fiabesca.
L’esplorazione viene stimolata dai tanti compiti che vi verranno assegnati, molti dei quali saranno incentrati sulla ricerca di oggetti. Encomiabile come tutte le quest facciano parte di sottotrame che giovano all’economia narrativa del titolo, andando ad approfondire il background dei personaggi con cui interagiremo. All’inizio avevo un po’ sottovalutato i personaggi che popolano l’isola-prigione, ma dopo qualche ora ho incominciato ad appassionarmi alle vicende, complice l’incantevole atmosfera, e devo dire che mi sono affezionato ad alcuni di loro. Ci si potrebbe fare tranquillamente un bel film d’animazione, seriamente.
La mappa totale, sebbene non immensa (non è un OW), è più grande di quanto si possa immaginare inizialmente, e per completare il gioco dovrete setacciarla e conoscerla a menadito. Se per voi il backtracking è un problema, lasciate perdere, perché ritornare più e più volte negli stessi luoghi è parte integrante della struttura di gioco.
Il nostro Tilo durante il corso delle sue peripezie potrà guadagnare alcune abilità che lo aiuteranno a sopravvivere (ad esempio la capacità rilevare trappole o recuperare più velocemente il fiato), inoltre potrà trovare abbigliamenti per migliorare le statistiche e strumenti utili alle sue ricerche. Ma in caso di pericolo la sua arma principale sarà sempre la fuga e l’occultamento.
Avevo letto che nelle prime versioni del gioco erano presenti alcuni bug fastidiosi, addirittura bloccanti, ma sembra che con le ultime patch i problemi si siano risolti; nella mia run ne ho riscontrati un paio assolutamente marginali (tipo un ragno che si spostava senza animazione e un paio di pietre completamente nere). Anche a livello tecnico sembra che le cose siano migliorate dalle prime release: nonostante il gioco con tutti i dettagli al massimo resti un po’ pesante e sicuramente ulteriormente ottimizzabile, la mia esperienza è rimasta sempre fluida senza cali di framerate: anche in 4K viaggiavo sempre intorno ai 60fps. Sì, ok, ho un pc ninja che monta una 1080ti, e voi direte “Grazie al cazzo”, però ho visto che in FullHD il gioco gira bene anche su pc non all’avanguardia, e in ogni caso il titolo è disponibile anche su console.
Probabilmente per questioni mancanza di risorse, dal titolo sono stati tagliati dei contenuti, lo si può notare passeggiando in un paio di aree avanzate, che risultano più vuote delle prime. Ricordo però che stiamo parlando di un indie sviluppato da poche persone con un budget risicato, apprezziamo quello che c’è e non lamentiamoci troppo di quello che poteva esserci. Considerate che per concludere l’avventura senza correre come dei forsennati ci vogliono comunque circa tra le 15 e le 20 ore, quindi da giocare ce n’è eccome.
Io spero davvero che Ghost of a Tale abbia un riscontro tale da convincere i programmatori, i SeithCG, a svilupparne un seguito, perché è veramente un perla un po’ grezza che meriterebbe più attenzione. Tornando al discorso iniziale, se avessi dato retta ad alcune recensione “professionali” che ho letto su questo gioco, quasi avrei dovuto non prenderlo in considerazione. Invece eccomi qua a scrivere su un titolo che mi ha appassionato moltissimo, pur con le sue limitazioni, nel suo essere semplicemente una bella fiaba da giocare.